giovedì 11 gennaio 2007

Il Grande Capo del danese pazzo!

Dalla seconda fila di un cinema si vede una pellicola deformata quasi come i suoi personaggi, ma per un film di Von Trier, questo non dovrebbe essere un problema, anzi è un corroborante per le sue fitte trame di matti sentimenti di ciechi, neri e gangster!
Questa volta niente drammi e niente disabili. Il famoso danese ci stupisce con una commedia e l’idea potrebbe solleticare eventuali vigliacchi direttori d’azienda.
Curioso-buffo-goffo-conquellefaccedanesi chesonotralenordiche megliodeitedeschi peggiodeifinlandesi-economico-veloce… altro? Aggiungete voi!
Ravn è il presidente di una piccola azienda d’informatica, rimasto nell’ombra, che i colleghi sanno essere un dipendente quanto loro, buono e generoso con tutti.
Quando decide di definire la vendita dell’azienda, gli acquirenti vogliono conoscere il Capo e così assolda l’attore Kristoffer che entra goffamente nella parte del Grande Capo, per attirarsi le occhiatacce degli ignari, dando vita a una serie di equivoci esilaranti.

In realtà l’attore scopre che Ravn non è così buono come sembra, visto che ha portato avanti una serie di vessazioni e prese in giro ai danni dei dipendenti, via mail, così gira la frittata e…!!

Non è il Von Trier che preferisco, ma godibile!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Da: Tiziana
Brava Roby, accattivante questa mini-recensione. Ho trovato il film divertente, anche sorprendente a tratti, ed esilarante in quei dialoghi surreali "in campo neutro": Kristoffer rassegnato al grottesco, Ravn inconsapevole della responsabilità indotte dalla sindrome del Dr. Keckill!

Anonimo ha detto...

invece questo è il LVT che preferisco
a rendere la visione eterodossa dal punto di vista filmico oltre alla poltrona in seconda fila (e molto laterale) ci sono le inquadrature spesso fuori-frame, con i volti tagliati all'altezza della fronte anche quando non sono in primissimo piano e soprattutto l'uso sconcertante delle luci e del montaggio. anzi, è il mix di queste tre cose che stupisce e infastidisce da subito, poi ci si abitua, più o meno: [1] le inquadrature non standard - che ormai sono uno standard - [2] il montaggio a clip a singhiozzo con camera fissa viene dalla tv e il cinema l'ha già utilizzato, sebbene in maniera meno pesante e [3] la fotografia volutamente e sfacciatamente sbagliata. l'effetto è quello di take diverse da cui scegliere in fase di montaggio. e il regista invece non sceglie. allusione/richiamo a dogma e al suo manifesto di autenticità? provocazione? ma contro chi/cosa? e perchè?
ma questo riguarda il come. passando da forma a sostanza (si fa per dire): il film richiama continuamente un enigmatico albini, un autore/attore teatrale che credo non esista. parodia di ibsen? epigono non autorizzato di ionesco? albini è la chiave di una porta che non si sa bene quali stanze separi. le stanze che in dogville non avevano muri.
azz, mentre scrivo mi rendo conto che mi sto trasformando a mia volta in una figura mitologica a metà tra ghezzi e (un altro) albini..
da vedere. in prima fila.

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