mercoledì 4 febbraio 2009

La giornata di oggi... (su Repubblica.it)

Quel corpo conteso
di ADRIANO SOFRI

QUANTE parole si sono consumate. "Rispetto", per esempio. Consumata, abusata. "Rispetto, ma...". E poi Vita, e Morte. Come si chiamerà l'assassinio quando si sia chiamata "mano assassina" quella di un medico, di un infermiere? Come si chiamerà la pena di morte quando si sia dichiarata "condanna a morte" la possibilità di lasciare riposare in pace una esistenza irreparabilmente spezzata? Che vocabolario si potrà condividere quando si siano chiamati "volontari di morte" uomini e donne che per professione e vocazione salvano e curano vite fin oltre la ragionevole speranza?

Non si illudano, coloro che si sentono difensori della Vita, e hanno proclamato gli altri adepti della Morte. Non è stato questo il punto, non lo è, non lo sarà. C'è una scelta che vuole sequestrare le persone a se stesse, e una che le vuole lasciare responsabili di sé. Chi ha sostenuto il signor Englaro in tanti anni non ha voluto altro che questo. Che fosse riconosciuto che nessuno avrebbe potuto decidere meglio di lui e di sua moglie, che ricordano e immaginano la volontà della loro figlia, finché ebbe una volontà. Qui corre la differenza che vorrebbe lacerare la coscienza di un paese. Da una parte, rispetto vero e vero affetto per qualunque esito si voglia per sé e per i propri cari - un'assistenza a oltranza, senza alcuna riserva e alcuna scadenza, o la rinuncia e la fine. Dall'altra, in nome di un'assolutezza, l'imposizione di una via forzata, a costo del trafugamento dei corpi e del sequestro delle persone. Al costo di trasformare un acquisto della cura - la nutrizione artificiale - in alimentazione forzata per volontà di Dio e legge dello Stato.

I cittadini italiani che stanno dalla parte di Beppino Englaro sono tanti, incomparabilmente più numerosi di quelli che si raccolgono a gridare "assassini" al passaggio di un'ambulanza, o di quell'uno che si concede la bravata di sdraiarsi sul cofano dell'ambulanza. Non basterebbe questo, non basta essere maggioranza, e stragrande maggioranza, per stare dalla parte buona. E c'è sia in loro che negli altri rispetto vero, affetto e compassione veri. Quello che decide è l'immedesimazione nella vicenda di quella famiglia. Che cosa vorrei per me, che cosa vorrei per le persone che amo? E qualunque risposta particolare dia a questa domanda, c'è una cosa che non posso volere: che altri, autorità di ogni rango, ministri dello Stato e della Chiesa e della Scienza, mi esproprino della mia libertà di vivere e di morire. È perfino buffo che si deprechi la presunta sfrenatezza "individualista" di questa strenua volontà. Non si vive soli, e sarebbe piuttosto il sequestro di una legge o di un macchinario a far morire soli.

Il chiasso delle convinzioni assolute e delle invasioni dei corpi non impedisce di avvertire questa nuova consapevolezza. La politica ci arriva tardissimo e malissimo, persuasa com'è stata per antica tradizione che la propria lussuosa competenza sia l'incompetenza, e che bazzecole come nascita e morte, malattia e dolore fossero affari di preti e di medici, o tutt'al più di radicali. Ma è questo uno degli ambiti in cui le persone sono molto più avanti: perché le persone si ammalano, conoscono l'odore degli ospedali, si improvvisano infermieri, sanno che cosa vuol dire diventare così vecchi, si stringono, ragazzi coi motorini, nell'anticamera di una rianimazione in cui uno di loro sta fra la morte e la vita, e quale vita.

Principi della Chiesa rincarano le loro incrollabili prescrizioni. Ma anche il loro vocabolario scricchiola. "Eutanasia", ha ripetuto Benedetto XVI domenica, "falsa risposta alla sofferenza". Forse non intendeva rispondergli il presidente della Repubblica, quando ha detto asciuttamente che nella vicissitudine di Eluana non si tratta di eutanasia. Non è eutanasia. È l'interruzione di una cura non voluta - diciassette anni dopo! - lecita e buona quanto la prosecuzione di una cura voluta. Ci sono anche altri segni, nella lingua.

Non conosco il presidente della Camera, e l'idea che me ne sono fatto negli anni derivava anche da certi suoi tic retorici: "Non v'ha dubbio alcuno che...", "Di tutta evidenza...". Ieri ha detto di aver solo dubbi, e nel dubbio di affidarsi ai primi responsabili: "Personalmente ho solo dubbi, uno su tutti: dov'è il confine tra un essere vivente e un vegetale? Penso che solo i genitori di Eluana abbiano il diritto di fornire una risposta. E avverto il dovere di rispettarla".

C'è un bellissimo pensiero, forse il più umano dei pensieri, nel discorso che il Papa ha voluto dedicare domenica all'ennesima condanna dell'eutanasia. "Nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio". Un pensiero così bello, la ribellione alla dilapidazione delle lacrime non asciugate, non viste, non ascoltate che bagnano la terra, ha tuttavia santificato in passato e vorrebbe giustificare ancora una rassegnazione alla sofferenza. Rifiutare il dolore, curarlo, lenirlo, ridurne l'aggressione alla dignità dei corpi e delle menti, è un compito decisivo. Non basterà a cancellare la sofferenza dalla condizione umana: quella sofferenza che, anche senza cercarne il riscatto in un Dio, vissuta da ciascuno e da ciascuno immaginata, permette agli umani di sentirsi prossimi e fraterni.

È questa solidarietà il senso della nostra sofferenza. Oceani di lacrime inondano la terra. Se non c'è un Dio a raccoglierle, e tanto meno ad amarle come un sacrificio umano a lui offerto, ciascuno di noi può prendersene una parte.

Nei prossimi giorni si vorrà inscenare l'impressionante gara di angeli e demoni che si contendono il corpo di Eluana, come in un Trionfo della Morte del medioevo contemporaneo, che vuole celebrare nell'aldiquà il suo giudizio universale. Sceso dal suo viaggio di accompagnamento di Eluana, l'Eluana com'è oggi, non quella delle fotografie, il primario di anestesia udinese ha detto parole toccanti: "Sono profondamente devastato come uomo, come padre, come medico e come cittadino. Tutta la società civile dovrebbe riflettere sullo scollamento tra il sentire sociale e la posizione della politica e della chiesa sul tema della vita vegetale". Il Parlamento andrà avanti a discutere di una legge sulla fine della vita, che vorrà forse sfidare la libertà e la volontà della grande maggioranza dei cittadini, costringendoli vita natural durante, e anzi innaturale, alla alimentazione forzata. Se avvenisse, la legge colmerebbe un vuoto con un pieno assai peggiore.

(4 febbraio 2009)

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