martedì 12 luglio 2011

Non Lasciarmi

Ieri ho fatto Home video. Una particolare pratica per chi decide di rimanere a casa cercando di sanare parte delle lacune della stagione cinematografica o della storia del cinema.


Ho visto un film tratto dal libro omonimo di Katzuo Ishiguro: Non lasciarmi (Never Let me go) diretto da Mark Romanek (One hour photo) e interpretato da Carey Mulligan (An Education), Andrew Garfield (The Social Network) e Keira Knightley (trita e ritrita, non c’è bisogno che vi dica la sua filmografia vero? No, non l’amo particolarmente). Lui, Garfield (già uno che si chiama come un gatto…), è l'unico ”non britannico” del film, perché il resto, compreso il cameo di Sally Hawkins (la sorridente protagonista di La felicità porta fortuna di Mike Leigh), è tutto molto english!

Mi è capitato, di recente, di leggere la recensione di questo film sul Domenicale de Il Sole 24 ore, scritta da Francesco Piccolo. Mi ha incuriosito, perché sebbene gli avesse dato una stellina su cinque, ha scritto che è interessante, che gli attori sono bravi e non è male osservare la trasposizione cinematografica di un libro, in un film che manca, in parte, l’obiettivo dello scrittore. Ma questo non lo so, non avendo letto il libro, anche se forse comincio a pensare che si dovrebbero scindere i prodotti, perché il palco, lo scenario sul quale si contendono, il pubblico, è talmente diverso che un film tratto da un libro può essere un bel film, anche se non fedelissimo al prodotto al quale s’è ispirato. Un film può essere un bel film. Punto. Ma questo è una divagazione sul tema. Perché non è questo il caso. Insomma, non posso dirlo, non avendo letto il libro (adesso, per non essere influenzata, dovrò aspettare almeno 3 anni, prima di leggerlo). In più non è questo il caso, perché considerazioni libro-film a parte, il film non mi è sembrato particolarmente godibile. E’ sfilacciato, anche se con attori bravi che, alla lunga, temo non bastino al film. Non così tanto, almeno.

La trama è surreale. Ma appare così, credo, soprattutto perché l’ambientazione è assai poco fantascientifica e, anzi, molto contemporanea (primi del ‘900) di un’Inghilterra, o di un mondo, in cui le malattie non esistono più. I tre protagonisti, nei flashback di una di loro (Kathy, Carey Mulligan), crescono in un collegio che li educa come donatori di organi, pratica utile a debellare roba tipo la sclerosi multipla o il cancro, pare. Gli esterni sono fatti di paesaggi inglesi, prati, una costa di un mare agitato, inglese. Loro, i cloni, sono umani a tuttiglieffetti, cresciuti da umani, sviluppano sentimenti, paure, che vengono indagati, nel corso degli anni, proprio per provare che di umani si tratta, eppure loro vivono per morire.
E la conclusione del film sta proprio lì: qual è la differenza tra noi e la vita delle persone che salviamo?

Che amarezza!

2 commenti:

Lalla ha detto...

Angosciosissimo.

Robiciattola ha detto...

... anche, sì, tra le altre cose.

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