mercoledì 14 marzo 2012

La Siria… ancora

Ad agosto avevo scritto questo post – in cui ricordavo della mia visita ad Hama – spinta dagli eventi tragici di quel periodo, in quel paese.

È marzo, eppure nulla si è calmato. Tutt’altro, direi.

L’ONU non condanna completamente, perché alle sue risoluzioni pongono il loro veto quelli che possono: Cina, Russia e Cuba, sebbene non mi spieghi le “ragioni” (ammesso che gli altri due ne abbiano e ne dubito) quest’ultima…
Ma cosa deve succedere ancora? No, dico, cosa ancora oltre a tutti questi mortammazzati?

Sì l’ho amata assai la Siria e non mi stanco di ribadirlo. Ma non c’entra questo.
E, forse, non c’entra nemmeno la religione, ma solo il potere. La religione è sempre, o quasi, una scusa.
Oggi ho trovato questo passo, nel libro che sto leggendo Leggere Lolita a Teheran (di Azar Nafisi), che è ambientato negli anni della rivoluzione e subito dopo:
Il proprietario era un armeno (…) c’era un cartello a caratteri cubitali che non riesco a dimenticare: MINORANZA RELIGIOSA. Tutti i ristoranti gestiti da non musulmani erano obbligati a esporre quel cartello bene in vista, così i buoni credenti, che consideravano impuri i fedeli delle altre religioni e non avrebbero mai mangiato dagli stessi piatti, erano avvisati.

Spesso, dunque, è un fatto di cecità.

Detto questo come si fa a non notare che siamo immobili, ancora, un’altra volta, davanti a un massacro filmato, fotografato, di cui abbiamo prove e testimonianze?
Possibile, davvero è possibile che si abbia il coraggio di buttare fango sulla storia e ammettere candidamente che non ci abbia insegnato nulla, dalla Bosnia al Ruanda, per nominare i crimini più recenti, ai quali abbiamo lasciato spazio perché i massacri avvenissero senza che nessuno dicesse basta, puntando il dito?
Niente, nessuno impara ed io non so i perché. Ma parlo di un perché che abbia senso, non di petrolio, religione, potere etc…
Assad è tornato da Londra per fare questo? Ma chi comanda davvero? C’è qualcuno dietro di lui?

Giorni fa, su twitter, scopro – tramite radio24 – che padre Paolo Dall’Oglio (nella foto quissù) sta provando ad avvisare che, in Siria, si sta rischiando di ripetere il Ruanda.
Padre Paolo l’ho incontrato. Correva giu dalle scale del “suo” monastero Deir Mar Musa, fuori Damasco. È lui, un francescano, che si occupa della “gestione” del monastero, tentando di facilitare l’incontro tra religioni così apparentemente diverse, ma molto simili, per certi versi. Basta volerli vedere.

All’epoca, nel 2007, sono rimasta molto colpita spiritualmente da questa persona e da questo luogo. Una specie di eremo in mezzo al deserto. Solo che non era esattamente un eremo solitario, tutt’altro. A Mar Musa ci può andare chiunque a pregare, a dare una mano, a portare cibo, a visitare anche semplicemente la piccola chiesetta che padre Paolo si è impegnato a fare riconsacrare, sebbene nella raffigurazione di inferno e paradiso, nel primo fossero presenti i vescovi!

Un panorama incredibile, tante scale, un gatto e i sorrisi dei monaci. Quando ti affacci dalla terrazza dove in genere si mangia, la sensazione è di levità assoluta, giuro.
Al mio ritorno, ho trovato le foto di Ivo Saglietti al museo di Roma in Trastevere. Le immagini raccontavano la vita quotidiana al monastero di Mar Musa e dell’incontro con le altre religioni. Ero emozionata. Nel bookshop del museo ho comprato il libro Sotto la tenda di Abramo che contiene tutte le foto, più la premessa di padre Paolo dall’Oglio, che se fate i bravi ve la mostro.
Ha 57 anni ed è uno di quelli che si fanno in 4 per contribuire al dialogo laddove sembra che non ci sia pace. È stato minacciato di espulsione. Adesso leggo che qualche giorno fa, soldati armati hanno fatto irruzione nel monastero, mentre padre Paolo non c’era, per cercare armi e soldi. Senza successo. Se vedeste, capireste che lì i soldi sono il riso e le patate e di armi… nemmeno l’ombra.

Io spero di non sentirvi piangere, prima o poi, per questi massacri siriani.
Sarebbero litri di lacrime inutili, se poi a queste non dovessero seguire interventi per fermare questa violenza.
Siamo tutti bravi a commuoverci. È facile. Ma almeno singhiozzate e urlate il vostro sdegno.
Spero di non sentirvi piangere, dicevo, tanto per fare sentire che siete commossi. Non basta.

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