martedì 3 aprile 2012

La Cavalleria un po' Rusticana, un po' gentile

Ieri sono andata ad ascoltare La Cavalleria Rusticana, o meglio, un pezzo di questa opera, composta da Mascagni e cantata in dialetto siciliano (è tratta da una novella di Giovanni Verga): finalmente no deutsch, no italiano aulico, ma siculo e James Conlon (direttore made in U.S.A.) che ripeteva il testo, durante la direzione, il che probabilmente lo aiutava a sentirsi più compenetrato nella parte. Compare Turiddu e Santuzza sul palco della Sala Santa Cecilia.


Mi accomodo nella mia consueta galleria laterale, dopo aver incrociato Peppe Servillo disorientato in fila in biglietteria. Apro un libro per leggiucchiare qualche pagina prima che comincino a suonare. La sala non è proprio gremita, ma sì c’è gente. Intravedo, alla mia sinistra, una signora che l’ultima volta che avevamo assistito a una roba cantata, se l’era cantata lei, tutta, accanto a me. Oddio… speriamo non la sappia!

Poi dall’alto, al solito, tutti gli abbonati della platea – per lo più – che si incontrano ogni settimana si salutano e parlano di feste, beneficienza, affari, insomma fanno salotto prima dell’inizio del concerto che se non cominciassero ad abbassare le luci, a una certa, rimarrebbero a ciarlare tuttoiltempo! Poi c’è qualcuno che s’aggiusta la sua cuccia per farsi un bel sonno. Essì, ne vedo di teste che si afflosciano durante i concerti: giusto ieri mi sono chiesta che ne pensassero i cantanti di questo pubblico debosciato.

Non capita spesso che oltre al coro ci siano anche i cantanti e, devo dire, che non mi piace molto in genere, però ieri è stato bello assai, perché i 5 facevano un po’ finta di essere sul palco di un teatro dell’opera, più che su quello di una sala concerti e quindi recitavano i loro pezzi cantati, dando pathos a tutte le azioni e le parole, nonché sottolineando i passaggi musicali.

Mi chiedo sempre dove prendano i costumi queste cantanti liriche che fuori dall’opera indossano abiti improbabili stile museo, tranne la mamma di Turiddu. Aveva una certa, era evidente, eppure il suo vestito lasciava intravedere reggipetto ed elastico delle mutandine… Ma poi è entrata Lola (il nome del personaggio) ed eccolo lì, il vestito stile tenda, con tanto di scialletto che non manca mai in cotante occasioni! Ma perché si devono coprire le spalle (o le braccia cascanti…)? Mica siamo in chiesa! Devono dare un senso di classico? Ma qui, più che di classico, mi pare vecchio, da soffitta, impolverato… bah.

Poi, alla mia sinistra, la tipa ha cominciato a disegnare l’aria con le mani, seguendo la musica e il suo vicino dirigeva e cantava, allo stesso tempo, in preda all’euforia… non ne potevo più. Mentre la signora alla mia destra cantava pure, ma era appassionata e simpatica.
Non so perché a casa mia, della Cavallerie Rusticana, negli anni, non si sia molto parlato. Le favorite rimanevano i classici di Puccini e Rossini. Stop. Poi al massimo, ogni tanto, faceva capolino l'Andrea Chénier con la sua mitica aria La Mamma morta, interpretata da una incredibile Callas.

La Cavalleria Rusticana è un misto di suoni celestiali, che ai più – uniti al concetto “arcaico” di musica classica che hanno – risulterebbero insopportabili, e cavalcate, appunto, rustiche... che – metaforicamente – restituiscono esattamente le sensazioni dei suoni delle percussioni, dei fiati…

Non manca poi l’applauso goffo, stentato e in un momento in cui – dai, ormai lo sanno tutti – non c’entra niente. Sì è etichetta. No, non è una questione di snob del cavolo! Ma solo perché, evidentemente, se il direttore non s’inchina e chiede di fermarsi con gli applausi, vorrà pur dire che non ha finito, no?
E allora diventa rispetto per qualcuno che di musica ne capisce di sicuro di più di quello che capisce lo spettatore medio che batte le mani.

L’altra giornata di Cavalleria è domani e non, come al solito, stasera. Se vi va, andate a provare.

Orsù

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